Avvocati, ingegneri, commercialisti e notai rischiano di perdere il treno della rivoluzione digitale:
solo il 30% degli studi professionali italiani è
al passo con le ultime tecnologie. Lo rivela l’Osservatorio Professionisti e innovazione digitale del Politecnico di Milano (
qui).
L’abbandono dei processi tradizionali è stato completato solo nelle situazioni in cui vige un preciso obbligo normativo – pensiamo ad esempio alla firma digitale o la fatturazione elettronica – ma si continua a lavorare con carta e penna in moltissimi altri casi, anche ove siano ormai disponibili strumenti consolidati e di facile uso. La reticenza dei professionisti ha spesso ragioni organizzative, benchè l’ostacolo più difficile da superare sia probabilmente di natura culturale.
Secondo l’Osservatorio, infatti, nel 40% dei casi siamo in presenza di professionisti che non hanno ancora compreso il cambiamento strutturale del mercato e, di conseguenza, sono indirizzati verso un’inesorabile marginalizzazione a favore degli studi che, grazie alle tecnologie web e mobile, sono più vicini alle nuove esigenze dei clienti. Tante sono le opportunità per chi decide di aprirsi all’innovazione: una maggiore efficienza interna, la possibilità di allargare la base clienti e offrire nuovi servizi, la condivisione di attività con altri studi o realtà collegate.
Commercialisti e avvocati devono quindi diventare esperti di digitale? No, ma devono imparare a “far leva sulla tecnologia per fornire ai clienti una risposta alle esigenze emergenti, ad esempio la consulenza nello sviluppo delle vendite online”, come sottolineava Maurizio Grosso, consigliere del Consiglio nazionale dottori commercialisti, in un recente intervento su La Repubblica.
Ancora una volta, per cavalcare con successo la trasformazione digitale è importante affidarsi a un partner qualificato, che sappia guidare il percorso dell’innovazione con le giuste competenze e gli strumenti più efficaci, partendo dalle caratteristiche peculiari del singolo studio.
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